Le comunità ebraiche

Le comunità ebraiche di Fiume ed Abbazia nel
periodo 1915 – 1945 e le vicissitudini che hanno
portato alla loro completa dispersione dopo la fine
della seconda guerra mondiale

A settant’anni dalla dispersione delle comunità ebraiche di Fiume e di Abbazia non è
stato facile ricomporre i nuclei famigliari che risiedevano nel capoluogo e nelle località
minori della provincia del Carnaro. Con un lungo lavoro di ricerca svolto sia in Italia che
all’estero ho potuto raccogliere una documentazione abbastanza ampia e varie
testimonianze sulla effettiva composizione della popolazione ebraica che viveva nel
territorio del golfo del Quarnero nel periodo compreso tra le due guerre mondiali; e più
precisamente dal 1915, quando era ancora in atto la dominazione asburgica, al 1945
quando tutta quella regione venne assegnata alla repubblica jugoslava del Maresciallo
Tito. Questo lasso di tempo ha significato per la popolazione autoctona, e per il nucleo
ebraico in particolare, una serie di trasformazioni connesse con la fine dell’impero
austro-ungarico, con l’epopea dannunziana, con l’annessione all’Italia, con la
promulgazione delle vergognose leggi razziali e poi, alla caduta del fascismo, con l’
occupazione del territorio da parte dei nazisti e le deportazioni nei campi di sterminio; e
infine, dopo la seconda guerra mondiale con il cambiamento completo dell’assetto della
regione che portò alla definitiva dispersione dei superstiti. Non sono uno storico e non
intendo riscrivere la storia dell’insediamento ebraico in quella zona dalle origini ai nostri
giorni, ma ritengo opportuno mettere in evidenza alcuni aspetti delle vicende che hanno
coinvolto gli ebrei di Fiume nel corso dei secoli per permettere agli studiosi
dell’argomento di avere un quadro chiaro della situazione.

Molto vaghe sono le notizie sui primi insediamenti ebraici a Fiume, ma dalle pietre
tombali trovate nel vecchio cimitero israelitico che esisteva in via Belvedere risultava
che già nel XV-XVI secolo vivevano a Fiume degli ebrei di origine spagnola, provenienti
per la maggior parte dalla Dalmazia, dalle città di Spalato e Ragusa, per svolgervi
attività commerciale. Seppur in numero limitato essi costituirono una “Zudecca” o
“Zuèca” in calle del Tempio, dove potevano frequentare una piccola sinagoga e
mangiare ed essere ospitati secondo i precetti religiosi. La plurisecolare esistenza della
comunità ebraica in Fiume è dimostrata dalla presenza del rotolo della Torà donato nel
1789 alla comunità dal commerciante Jzhak Pardo proveniente da Ragusa.

Risale al 1781 il regolamento della comunità ebraica di Fiume stilato in un brutto
linguaggio latino burocratico-notarile sulla falsariga del regolamento triestino scritto in
italiano dieci anni prima. Molti dati del secolo XVII andarono purtroppo persi con
l’incendio della casa di Nathan Kohen, ex presidente della comunità. Solo tre registri
anagrafici furono salvati perché in possesso dell’ufficiale di stato civile dell’epoca,
rabbino Salomone Raffaele Mondolfo Halevi. Le annotazioni delle nascite, dei matrimonie dei decessi in questi tre registri iniziavano a partire dal 25 giugno 1824. Da tali dati ufficiali si rilevava che a Fiume all’inizio del secolo XIX abitavano le famiglie ebraiche levantine dei Piazza, dei Valenzin, dei Kohen, dei Pardo, degli Jesurum, degli Jacchia, dei Benporath, dei Mondolfo, ecc. Negli anni 1835-1850 giunsero anche ebrei
provenienti dall’Austria oltre che dall’Italia e pertanto si trovano a Fiume le famiglie
Reizner, Wilheim, Eisner, Rosenberger, Russi, Nigris, Mortara, Hering, Kelner,
Pincherle, Treves, ecc.

A cominciare dal 1850 si trasferirono a Fiume numerosi ebrei ungheresi, come ad
esempio la famiglia Maylaender da Koermend, la famiglia Popper da Papa, la famiglia
Kornitzer da Balassagyarmat.

Il numero dei componenti la comunità cambia continuamente; ma normalmente oscilla
tra i 50 ed i 60. Improvvisamente nel 1870 il numero diminuisce e nel 1880 risultano in
tutto solo 20 famiglie. Delle vecchie famiglie fiumane rimangono solo i Mondolfo ed i
Luzzatto. Dal 1880 però si nota un sensibile incremento dei componenti la comunità e
nel 1882 viene nominato quale nuova guida spirituale e culturale il Maestro Adolfo
Gerloczi. Nel 1895 la comunità israelitica fiumana conta 260 contribuenti ed in totale
circa 1600 persone, che sono quasi esclusivamente di origine ungherese. Delle antiche
famiglie fiumane sono presenti solo i Mondolfo ed i Macchioro.

Il culto che anticamente era di rito spagnolo (sefardita), improvvisamente diventa di rito
asckenazita. La sinagoga di rito spagnolo si trovava in un vecchio edificio della
“Cittavecchia” in Calle del Tempio 6, ed era di proprietà della comunità che l’ebbe in
dono nel 1832 da Mose Halevi. In precedenza esisteva una piccola sinagoga in Calle
del Pozzo, 247.

La lingua ufficiale della comunità era quella della città: l’italiana.

Nelle festività le funzioni venivano svolte in ebraico con sermoni in ungherese ed in
italiano. Nel 1885 il rabbino M° Adolfo Gerloczi costituì assieme ad Antal Mattersdorfer e Giuseppe Treusch la Confraternita di Misericordia “Chevra Kadischà”, di cui fu nominato presidente il signor Giuseppe Hartmann, e vicepresidente Dezsoe Kemény. Questa confraternita provvide all’acquisto di un terreno per realizzare un nuovo cimitero, poiché in quello vecchio di via Belvedere si era esaurita fin dal 1869 ogni ulteriore disponibilità di tumulazioni.

Presidente della Comunità in quegli anni era Arminio Neuberger de Hliniki, primo
vicepresidente l’avvocato Enrico Sachs e secondo vicepresidente Emilio Ehrlich. Venne
costituita anche una commissione con il compito di predisporre dal punto di vista
amministrativo e finanziario la costruzione di un nuovo tempio, destinato al rito
asckenazita “neologo”, che come già in Ungheria e negli altri Paesi della Mitteleuropa
(Austria, Boemia e Moravia, ecc.) si andava diffondendo in concomitanza con
l’affermarsi, dalla fine del XVIII° secolo, del movimento illuminista; questa scuola di
pensiero si proponeva di raggiungere l’equiparazione dei diritti degli ebrei con gli altri
cittadini e di realizzare anche modifiche all’interno della comunità ebraica nella quale si
andava affermando la moderna cultura europea. In Slovacchia la maggior parte degli
strati colti delle comunità ebraiche non aveva intenzione di rinunciare alla tradizione
yiddish.

Negli anni 40 del XIX° secolo il movimento illuminista assorbì alcuni elementi
dell’ideologia nazionale ungherese e conseguì un certo successo nella diffusione di
riforme religiose, che gli intellettuali tendevano ad introdurre anche nella religione
ebraica, urtando così contro la violenta resistenza di gruppi ortodossi, che
conservavano nella vita religiosa e sociale le tradizionali usanze ebraiche. I più
importanti centri di resistenza si concentravano nel territorio della Slovacchia così come
in Galizia e in Bessarabia. Giacché la maggior parte degli ebrei di Fiume era di origine
ungherese, mentre gruppi minori provenivano da centri della Slovacchia e della
Bessarabia, si ebbero anche a Fiume due gruppi distinti: uno più numeroso di rito
neologo e l’altro di rito ortodosso.

Il nuovo tempio, progettato nel 1895 dall’arch. Lipot Baumhorn per la Comunità, aveva
un aspetto maestoso in stile moresco e venne eretto in via del Pomerio, 23-25. A
pianoterra vi erano i banchi con posti assegnati per ciascun iscritto alla Comunità,
mentre al piano superiore nel matroneo a gradinata su tre lati trovavano posto le
signore. Complessivamente vi erano 500 posti per gli uomini ed altrettanti per le donne.
Nell’edificio vi era l’ufficio della segreteria della Comunità ed una sala di Presidenza ove
si svolgevano anche le sedute del Consiglio. Nella segreteria erano custoditi i registri
delle nascite, dei matrimoni e dei decessi, che andarono completamente distrutti
quando il 30 gennaio del 1944 la sinagoga venne data alle fiamme dalle SS naziste, che
proibirono persino ai vigili del fuoco di intervenire per domare l’incendio.

Il gruppo degli ebrei ortodossi, provenienti dall’alta Ungheria, dalla Galizia e dalla
Bessarabia, fece costruire tra le due guerre mondiali il moderno tempio in via Galvani,
progettato dagli ingegneri G. Farkas e V. Angyal, che rimase miracolosamente intatto
forse perché protetto da un muro di cinta che lo nascondeva alla vista della polizia di
stato nazista (Gestapo), nonostante che questa avesse la propria sede a poca distanza.
L’arca santa che contiene i rotoli della Torà, alta 8 m. in marmo bianco e nero,
riccamente scolpito, fu costruita a Conegliano ed era destinata inizialmente ad essere
installata a Trieste, poi fu portata ad Ancona ed infine a Fiume. Attualmente questo
tempio è utilizzato dalla piccola Comunità ebraica di Rijeka.

Gli ebrei di Abbazia iniziarono ad insediarsi colà nel periodo di trasformazione della
località da piccola cittadina costiera in elegante luogo di cura e soggiorno, dal 1892 in
poi. Si riunivano nella Pensione Breiner che preparava i cibi secondo le regole della
kasherut. Nel 1922 richiesero il riconoscimento ufficiale di comunità ebraica autonoma
ed inaugurarono la nuova sede in locali di loro proprietà (Villa Zora). Nel 1940 essa
venne occupata e devastata dai fascisti, che ne fecero la sede della GIL (Gioventù
Italiana del Littorio già Opera Nazionale Balilla).

Risalendo indietro nel tempo di qualche decennio, dobbiamo ricordare che Fiume fu
annessa all’Italia appena il 16 marzo 1924. Con l’avvento del nazismo negli anni trenta
si ebbe un sensibile afflusso di ebrei che, profughi dalla Germania e dai paesi limitrofi,
emigravano verso paesi d’oltremare. Parecchi si fermarono temporaneamente a Fiume
e nelle località della Provincia e figurano tra i residenti, ma la maggior parte proseguì
verso altre destinazioni. Con la promulgazione delle leggi razziali del 1938, entrò in
vigore anche un decreto secondo il quale la cittadinanza italiana veniva revocata a tutti
gli ebrei che non la avessero ricevuta prima del 1919. Tale era il caso degli ebrei fiumani
che, ovviamente, erano divenuti italiani solo dopo il 1924 quando la città era stata
annessa all’Italia, e pertanto divennero automaticamente apolidi. Di fronte a questa
assurda situazione venne escogitata la qualifica di “pertinenza” che fu attribuita a coloro
i quali erano nati a Fiume e che consentiva di evitare la revoca della cittadinanza, ma
ben pochi beneficiarono di tale provvedimento.

Naturalmente, con le leggi razziali, gli ebrei fiumani subirono la sorte di tutti gli ebrei
italiani. Furono espulsi da tutte le scuole del regno né poterono iscriversi alle università;
i dipendenti da enti statali, parastatali e comunali vennero licenziati in tronco; gli ufficiali
delle Forze Armate vennero pubblicamente degradati ed espulsi anche se decorati,
come se si fossero macchiati di alto tradimento. Inoltre dopo l’entrata in guerra dell’Italia
il 10 giugno 1940 in una retata notturna tra il 18 ed il 19 giugno, ordinata dal prefetto
Temistocle Testa, circa 400 ebrei maschi di età superiore ai 18 anni vennero arrestati e
incarcerati perché considerati nemici: all’uopo venne requisita la scuola elementare del
rione periferico di Torretta dove i malcapitati vennero rinchiusi circa 30-40 per aula in
condizioni primitive.

Alcune delle persone arrestate vennero rimesse in libertà dopo 8-15 giorni, tutti gli altri
vennero inviati al confino in varie località dell’Italia centro-meridionale: in questo
provvedimento molti furono agevolati dall’opera del Vice-Questore, dott. Giovanni
Palatucci, ed in alcuni casi riuscirono così a salvarsi dalla deportazione nei campi di
sterminio nazisti.

Le disavventure per gli ebrei rimasti ancora in città proseguirono la primavera
successiva quando l’Italia dichiarò guerra alla Yugoslavia. Poiché la provincia di Fiume
si trovava in zona di operazioni, le autorità fecero evacuare tutta la popolazione civile
trasferendo uomini, donne, vecchi e bambini, compresi gli infermi, negli alberghi della
riviera adriatica e in adeguate strutture del Veneto. Gli ebrei, residenti in città, vennero
convocati in Questura ove venne dato loro un foglio di via con l’obbligo di trovarsi la
sera stessa alla stazione con una valigia a testa per essere trasferiti verso ignota
destinazione. Sistemati nelle carrozze di un treno con le porte sigillate con piombi, il
treno si avviò verso mezzanotte alla volta di Trieste da dove proseguì sempre sotto
scorta militare verso Portogruaro-Treviso-Mestre. Dopo una breve sosta in cui,
inaspettatamente, alcune crocerossine provvidero a rifocillare con caffellatte e panini
l’insolita comitiva di viaggiatori, il treno proseguì verso Padova, Vicenza e Verona. Qui
giunto alla stazione di Porta Vescovo fu fatto sostare su un binario morto creando
angosciosi presagi nelle menti delle persone trasferite, presagi che fortunatamente si
dimostrarono infondati. Infatti, dopo breve tempo arrivò un gruppo di persone guidate
dal rabbino di Verona, dott. Friedenthal, il quale provvide a distribuire agli sfollati
provenienti da Fiume cibo e generi di conforto. Il viaggio doveva poi proseguire in
autocorriera e con un trenino locale verso varie località del Veronese dove, secondo i
programmi governativi questi gruppi avrebbero trovato una sistemazione di fortuna fino
al termine delle operazioni belliche contro la Yugoslavia. Dopo circa un mese il Prefetto
di Verona dispose il rientro degli sfollati nelle località di origine.

Nella seconda metà del 1941 e nel 1942 la situazione a Fiume e provincia subì le
alterne vicende della guerra ed ebbero inizio anche vari bombardamenti aerei della
zona industriale. Con la caduta del fascismo il 25 luglio del 1943 alcuni degli ebrei
fiumani che si trovavano al confino in Italia centro-meridionale sperarono di poter
ritornare nelle proprie case finalmente liberi, ma l’illusione fu di breve durata perché
poco dopo l’armistizio dell’8 settembre i nazisti occuparono tutta la Venezia Giulia che fu
incorporata nel così detto “Adriatisches Kuestenland” posto sotto giurisdizione del
Gauleiter Friedrich Reiner (austriaco) che si insediò a Trieste. Qui giunse anche il
famigerato Gruppenfuehrer delle SS Odilo Globocnik (nato a Trieste nel 1904,
trasferitosi in Austria nel 1918) nazista della prima ora, già Gauleiter di Vienna dopo
l’Anschluss, protetto da Himmler (che lo fece balzare dal grado di sottotenente a quello
di generale) con lo specifico incarico di dare la caccia agli ebrei e di farli deportare nei
campi di sterminio. All’uopo nell’ottobre del 1943 costituì l’Einheit “R” già operante ai
suoi ordini nel campo di sterminio di Treblinka (circa 100 uomini in gran parte ucraini). Il comando aveva sede nella risiera di S. Sabba.

Ben 317 furono gli ebrei fiumani deportati per lo più ad Auschwitz, e di questi solo 42
ritornarono (275 furono quindi le vittime) Altri 53 vennero deportati da Abbazia e
Volosca, e di questi solo 4 ritornarono. Ai 370 deportati complessivi si devono
aggiungere altre dodici persone che vennero soppresse negli eccidi di S. Pietro,
contrada Ari (Chieti), dell’aeroporto di Forlì e nei pressi di Fiume. Il totale delle vittime
dell’Olocausto nella provincia del Carnaro ammonta quindi a 336 persone, ossia circa il
15% dei residenti.

Gli ebrei fiumani sopravvissuti alla tragedia, alla fine della seconda guerra mondiale,
contrariamente a quanto avveniva nelle altre comunità ebraiche d’Italia, non poterono
far ritorno alle loro case perché tutta la provincia del Carnaro era stata nel frattempo
occupata dalle truppe del maresciallo Tito ed annessa ipso facto alla Yugoslavia.
Qualcuno che tentò di metter piede in zona per cercare di recuperare i beni
abbandonati, sparì dalla circolazione e non se ne seppe più nulla. Tutti gli altri seguirono
la sorte dei profughi fiumani, istriani e dalmati, che con notevoli sacrifici si sistemarono
in varie località d’Italia o emigrarono in altri Paesi d’Europa, nelle Americhe, in
Palestina/Israele, in Australia, o altrove.

Ritengo doveroso segnalare a questo punto alcuni dei componenti delle Comunità
Ebraiche di Fiume e Abbazia che si distinsero per le loro capacità professionali e per le
posizioni raggiunte in campo politico e civile: in primo luogo vorrei citare il Senatore a
vita Leo Valiani (già Waiczen), uno dei padri della Repubblica Italiana; inoltre vari
dirigenti industriali tra cui il comm. Alessandro Szemere, direttore generale della
ROMSA, l’ing. Felice Epstein, direttore tecnico della stessa raffineria, l’ing. Francesco
Benedikt, direttore tecnico dello stabilimento ed il di lui figlio, dott. Tiberio Benedikt,
fisico, che emigrato in USA fece parte del team che costruì la bomba atomica di
Hiroshima, il dott. Pietro Blayer, presidente per vari anni dell’Unione delle Comunità
ebraiche italiane, e inoltre l’on. Miklos Vasarhelyi, dirigente della Fondazione Soros a
Budapest e per qualche anno Presidente onorario della Società di Studi Fiumani; oltre a
molti medici, direttori di banca, avvocati e commercianti, così come alcuni legionari che
presero parte all’impresa dannunziana, ed alcuni combattenti che parteciparono alla
campagna in Africa Orientale e in Spagna, ed altri che militarono nelle fila dei partigiani
per la lotta di liberazione o si arruolarono nella V° armata americana o nella VIII° armata
inglese, ed ancora qualche sportivo come Stefano Mangold, campione di tennis in
coppa Davis, ma anche umili artigiani ed operai, che sempre operarono con dignità ed
onestà e godettero di apprezzamento nei luoghi in cui stabilirono la loro nuova
residenza.